Mattatore dell’estate italiana. Stavolta ha deciso di esagerare e ha voluto regalarsi un brano, già diventato un tormentone, dedicato proprio alla bella stagione. Jerry Calà ci presenta la sua Un’altra estate che va, una canzone spensierata e divertente in cui ironizza sulle differenze generazionali. E Jerry di giovani se ne intende: ha un pubblico quanto mai trasversale e un figlio adolescente, Johnny, che rappresenta il suo elisir di lunga giovinezza. Il simpatico attore di origini siciliane coglie l’occasione per aprire il suo baule dei ricordi e dedicare un pensiero speciale all’amico Carlo Vanzina, scomparso dopo una lunga malattia lo scorso 8 luglio.
Un ’altra estate che va è già un tormentone Jerry Calà.
«Sono molto felice dell’ottimo riscontro che sta ottenendo. E un brano divertente e ironico che trae ispirazione anche da alcuni monologhi che dedico ai più giovani durante i miei show. Il brano è firmato dai Two Fingers, mentre nel video ci sono iPantellas (il duo di YouTubers formato da Jacopo Malnati e Daniel Marangiolo, ndr) e mio figlio Johnny. Tra l’altro, è la prima volta che mi cimento con la regia di un video musicale».
Nella tua canzone sottolinei le numerose differenze tra le nuove generazioni e quelle di ieri.
«Ai miei tempi non ci si fidanzava su WhatsApp! Né ci si lasciava su Facebook. Con la mia solita ironia, invito i ragazzi in questo brano a dedicarsi più al “contatto” che al “chatto”. Quand’ero giovane io, per navigare bastava il mare e un pattino. Ora, invece, i ragazzi preferiscono navigare con i “giga”».
Che effetto ti ha fatto Jerry Calà avere tuo figlio per la prima volta su un set con te?
«Un’emozione immensa, una vera “libidine”. Non a caso nel brano dico: “Mi sento ancora un leone quando sto con te”. Ed è proprio vero. Johnny era perfettamente a suo agio,
si muoveva in quella situazione con grande disinvoltura. L’amore per questo ambiente ce l’ha nel Dna».
Il video è ambientato a Forte dei Marmi e il pensiero corre al cult Sapore di mare, diretto da Carlo Vanzina, scomparso da poco…
«Ci ha lasciati troppo presto. Gli devo moltissimo della mia carriera e non smetterò mai di ringraziarlo. Proprio durante le riprese di quel meraviglioso film Carlo mi fece un divertente scherzo».
Quale?
«Sapeva che ero in soggezione di fronte a Vima Lisi. Per me era un mito, un monumento, la chiamavo addirittura “signora Lisi”, nonostante lei mi avesse detto subito che era una donna molto semplice e che dovevo darle del tu.
. Ridendo, Vima mi disse anche che aveva un difetto: non sapeva dare schiaffi per finzione. Così, durante la famosa scena in cui lei mi schiaffeggia, Carlo si divertì a non dare mai la buona. Rimediai una valanga
di schiaffi… Addirittura otto, se ricordo bene. Carlo era serissimo sul set, ma era capace, con il suo fare.somione, anche di questi scherzi».
Vanzina fu uno dei primi a intuire il tuo talento Jerry Calà
«Fu lui a far debuttare me e i Gatti al cinema. Poi mi volle nel 1981 per il film / Fichissimi con Diego Abatantuono. E da lì partì tutto».
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«Non siamo siati compresi»
Ti diede dei consigli?
«Parecchi. Io venivo dal cabaret, ero abituato a gesticolare molto, a muovere eccessivamente la testa in scena. M’insegnò l’abc del cinema, spiegandomi anche che la battuta divertente doveva essere sempre e comunque al servizio della storia, senza mai esagerare. In più, con me al doppiaggio si faceva grandi risate».
Perché?
«All’epoca non c’era ancora la presa diretta e noi eravamo chiamati a doppiare noi stessi.
Io ero negato e Carlo, per questo motivo, mi chiamava “il signore degli anelli” (“anelli” sono convenzionalmente chiamate le frazioni di scena da doppiare, ndr)».
Vanzina, ed è capitato talvolta pure a te, non è mai stato particolarmente apprezzato da una certa critica.
«Quando lessi una critica non proprio lusinghiera nei t miei confronti, Renato Pozzetto mi rincuorò con una frase illuminante: “Preoccupati quando cominceranno a parlare bene!”. Ce la ripetevamo spesso io e Carlo. Molti grandi del nostro cinema, e Carlo faceva parte di questa categoria, non sono stati pienamente compresi. La critica tende a osannare solo i film impegnati che lanciano messaggi di un certo spessore. O che fìngono di farlo. Non dimentichiamoci che queste pellicole, i cosiddetti film d’autore, sono stati realizzati anche grazie ai tanti soldi che noi con le nostre commedie guadagnavamo in quegli anni».